italiano | english
La mostra presenta tre sale da pranzo complete che, con
l’aggiunta di quella di Piero Bottoni (1937) già in
esposizione, permettono di ripercorrere l’evoluzione degli stili
che hanno connotato il panorama delle arti decorative italiane nel
periodo tra le due guerre e invitano a riflettere sui modi di vita
dell’epoca, sul significato sociale della famiglia e
sull’influenza dei comportamenti proposti dalla politica e dai
moderni mezzi di comunicazione che allora si stavano imponendo.
La prima sala di Ettore Zaccari (Cesena 1877 – Milano 1922),
titolare nel capoluogo lombardo di una “bottega”
specializzata in mobili d’arte, rappresenta un tipico esempio dei
suoi arredi, nei quali si ravvisano caratteristiche stilistiche proprie
del gusto déco. Le sue opere, solitamente in legno lucidato
scuro, pur improntate alla rivisitazione dei mobili “in
stile”, soprattutto rinascimentali, si avvicinano infatti ad
alcune tra le più aggiornate esperienze internazionali
contemporanee, come ad esempio la produzione del francese Maurice
Dufrène, per il segno fitto ed esuberante della decorazione a
intaglio, spesso dorata o dipinta. In questa sala da pranzo si nota
inoltre una precisa volontà di caratterizzazione da parte dei
committenti: sul tavolo sono intagliati i nomi dei vari componenti
della famiglia e le spalliere delle sedie sono personalizzate con
monogrammi.
Nella sala da pranzo per casa Anzellotti, disegnata e intagliata nel
1932 dallo scultore Umberto Bartoli (Livorno 1888 – Firenze
1977), collaboratore sin dai primi anni Venti dello Studio
Coppedè, si combinano elementi formali di gusto déco con
motivi stilistici d’impronta novecentista. La rigidezza
compositiva dei trofei sportivi della credenza e dei putti posti ai
quattro angoli del tavolo denota una matrice déco, mentre la
sintonia espressiva con l’arcaismo e la semplificazione plastica
dello stile Novecento appare evidente nei soggetti delle figure
intagliate, ispirati al tema dello sport. La scelta iconografica risale
a una precisa richiesta della committenza: l’immagine del
calciatore al centro della credenza fa infatti riferimento ai trascorsi
calcistici di Aldo Anzellotti; la figura della sciatrice su uno degli
angoli della console testimonia la passione per lo sci della moglie
Bianca Cresti. Questo tema trovava peraltro precisi riscontri con il
culto fascista per l'ardimento e la competizione, come metafora di un
imminente impegno militare.
Chiude la sezione L’Autarca, entrato nel patrimonio della
Wolfsoniana grazie a una recente donazione. Si tratta di un tavolo
rotondo, dalle forme geometriche prive di decorazione, progettato dal
notaio genovese Angelo Fasce (Genova 1878 – Ovada, Alessandria,
1943), che ne ottenne il brevetto nel 1936 con la definizione
“Tavolo contenente tutto il necessario per il servizio dei
pasti”. La caratteristica più singolare dell’opera
è infatti che, grazie a un meccanismo di pesi e contrappesi,
dalla sua parte centrale possono alzarsi, girando una manovella, vari
piani contenenti tutto quanto è necessario per un pranzo
completo. In questo modo i commensali potevano consumare il pranzo
senza doversi alzare e senza l’ausilio di personale di servizio.
Il tavolo è presentato con il suo “corredo”
originario: i piatti in terraglia rossa della Richard-Ginori, le
tazzine da caffè in bachelite, i bicchieri in vetro di Murano,
le tovagliette di lino ricamato, i menu originali, oltre ad alcune
fotografie d’epoca che consentono di capirne il funzionamento.