italiano | english
Opere dall'archivio storico della Biennale di Venezia, 17 gennaio 2007 – 1 luglio 2007
La mostra documenta l’intenso rapporto che
Galileo Chini, uno dei principali protagonisti del panorama artistico
italiano e internazionale della prima metà del Novecento, intrattenne con la
Biennale di Venezia, per i cui padiglioni realizzò alcuni tra i suoi più
celebri cicli decorativi. La mostra si concentra, in particolare, su due tra
i più importanti episodi di questa assidua e fruttuosa collaborazione: gli
interventi per la Sala L’Arte del Sogno, allestita nel 1907 insieme a Plinio
Nomellini, Gaetano Previati e Edoardo De Albertis, e quello del 1920 per il
Salone, già Mestrović, caratterizzato da una serie di pannelli con allegorie
dell’arma, dell’esercito e dell’eroismo italiano.
Nel 1907, nel fregio per la prima sala internazionale a tema nella storia
della Biennale veneziana, Chini riprese un tema iconografico, la teoria di
putti danzanti, già proposto all’Esposizione di Milano del 1906. Nel 1920,
affrontando il tema della glorificazione della guerra e della vittoria, creò
un ciclo di quattordici pannelli caratterizzati da un’enfasi allegorica
tardo simbolista.
La mostra è stata resa possibile grazie al prestito, da parte della
Fondazione La Biennale di Venezia. Archivio Storico delle Arti
Contemporanee, di dodici opere recentemente restaurate con il contributo del
Venetian Heritage. A corredo dei dipinti esposti, si presenta una serie di
documenti relativi all’attività di Chini decoratore e al suo rapporto con la
Biennale di Venezia, provenienti dagli archivi della Wolfsoniana,
dall’Archivio Chini di Lido di Camaiore e dall’Archivio Ares Multimedia.
Galileo Chini (Firenze 1873 - 1956), pittore, ceramista, illustratore,
scenografo e costumista, dopo una precoce adesione al gusto Art Nouveau,
presentò con grande successo le sue ceramiche alle esposizioni
internazionali di Londra (1898), Parigi (1900), Bruxelles, Gand e
Pietroburgo (1901), Torino (1902), Saint Louis (1904). Alla manifattura
L’Arte della Ceramica, da lui fondata nel 1896 e poi trasferita da Firenze a
Fontebuoni nel 1901, si riferisce il dipinto La fabbrica esposto al primo
piano del museo. Negli anni Dieci venne superando la lezione naturalistica a
favore di decori geometrici e stilizzati di ispirazione klimtiana. Partecipò
regolarmente alle Biennali veneziane dal 1901 al 1936. Amplissima fu la sua
attività di decoratore, sia per allestimenti effimeri all’interno di alcune
tra le più importanti mostre del periodo, sia per edifici pubblici e
privati, chiese e cappelle funerarie, soprattutto in Toscana, a Firenze,
Pistoia, Arezzo, Montecatini, Lucca e Prato. Nel 1911 il re del Siam, che
aveva visto i suoi lavori per la Biennale veneziana, lo invitò ad affrescare
la sala del trono di Bangkok. La sua permanenza in Oriente, che si protrasse
sino al 1913, influenzò il suo lessico che, carico di seduzioni esotiche,
andò evolvendo verso il linguaggio déco, come dimostrano, ad esempio, gli
apparati decorativi delle Terme Berzieri di Salsomaggiore, dove lavorò tra
il 1921 e il 1923 e di cui, nel museo, si possono ammirare due fioriere in
maiolica. In questi anni la sua attività di decoratore fu intensissima: a
Viareggio il Gran Caffè Margherita e il Grand Hotel Excelsior (1922) e a
Salsomaggiore il Grand Hotel des Thèrmes (1925); realizzò le scene della
Turandot di Giacomo Puccini, andata in scena dopo la morte del musicista; fu
impegnato inoltre nella decorazione di alcuni ambienti dei transatlantici
Roma, Augustus e Ausonia, di due centrali idroelettriche in Alto Adige e
della Direzione della Società Montecatini a Milano. A partire dagli anni
Trenta si dedicò con preferenza alla pittura da cavalletto, esponendo in
numerosi spazi pubblici e privati. Dalla fine degli anni Quaranta la sua
attività artistica venne progressivamente diminuendo per un disturbo alla
vista che lo portò alla cecità.